Tlc bollette 28 giorni. Agcom ratifica vittoria dei gestori telefonici

E’ passato ormai più di un anno da quando la tariffazione a 28 giorni sulle utenze di telefonia fissa era stata vietata dall’Agcom. Ad oggi, la fatturazione è ritornata mensile (c’è voluta addirittura una legge…) ma della restituzione degli importi che i consumatori hanno pagato illegittimamente nemmeno l’ombra.

Tanto che l’Agcom è nuovamente intervenuta sul tema, con un’altra delibera (n. 269/18/CONS) in cui ordina ai gestori coinvolti – Wind Tre, Vodafone, TIM e Fastweb – di restituire ai consumatori (non le somme ma) i servizi pagati e non goduti entro il 31 dicembre 2018. La restituzione dovrà avvenire o posticipando la fatturazione delle singole bollette per un numero di giorni corrispondenti a quelli erosi (anche in più “rate”) oppure proponendo ai singoli clienti “soluzioni di compensazione alternative, satisfattive del diritto di ristoro”.

Cioè? Vuol dire che, se il nostro gestore ci propone anziché la restituzione dei giorni di servizio telefonico e dati qualche servizio alternativo (che so, segreteria telefonica gratis per un tempo x, uno sconto su un servizio), sta a noi decidere se accettare lo scambio o preferire i giorni “gratis” (che gratis non sono, li abbiamo già pagati e si tratta – tecnicamente – di un risarcimento in forma specifica: anziché rimborsare l’importo equivalente ai giorni erosi, i gestori devono restituire il servizio illecitamente sottratto).

Ricordiamo agli utenti che le restituzioni sotto forma di giorni di servizio o sotto altra forma che l’utente intenderà accettare riguardano solo la telefonia fissa, e non anche quella mobile. Chi non è più cliente del gestore telefonico dell’epoca, dovrà invece attendere l’esito del giudizio al Tar (le udienze sono fissate fra il 31 ottobre e il 14 novembre 2018).

Vittoria dei consumatori quindi?

No. E’ passato un anno, ancora i clienti non hanno visto il becco di un quattrino “in forma specifica” (guai a pretendere la restituzione sotto forma di carta moneta…); non è detto che anche questa delibera non venga impugnata davanti al TAR Lazio; ad oggi, del resto, siamo ancora in attesa delle udienze di ottobre/novembre in cui il Tar deciderà se le sanzioni che Agcom ha comminato ai gestori per non aver ottemperato alla delibera iniziale siano o meno legittime e così per le restituzioni; cosi’ come siamo ancora in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato nel giudizio contro la prima delibera dell’Agcom, quella con cui vietata la fatturazione a 28 giorni.

Questa caricaturale vicenda, che vale poche decine di euro ad utente, ma centinaia di milioni di euro per le compagnie telefoniche, è un processificio: ogni inadempimento comporta una delibera dell’autorità che viene impugnata in due gradi di giudizio e la cui storia si intreccia con delibere precedenti e future, impugnazioni precedenti e future, gradi di giudizio, sospensive, merito e viene il sospetto che durerà all’infinito e che il mio credito telefonico da tariffazione a 28 giorni lo lascerò in eredità ai nipoti.

L’Agcom fa del suo meglio, e lo fa al meglio, ma se vogliamo essere concreti e propositivi per il futuro non dobbiamo guardare al dito (i 28 giorni) ma alla luna (la possibilità per i gestori di modificare i contratti a proprio piacimento). Lo abbiamo già chiesto al precedente Governo e rinnoviamo la nostra richiesta ora che si si sono insediati un nuovo Governo ed un nuovo Parlamento, per quanto finora non abbiano annunciato alcuna “linea” in materia di tutela dei consumatori, poiché il problema è legislativo.

Il settore della telefonia è infatti l’unico nel quale la modifica unilaterale delle condizioni contrattuali è possibile senza regole. L’unico altro esempio presente nella legislazione italiana è il settore bancario: la banca può modificare il nostro contratto di conto corrente unilateralmente, ma può farlo in ragione di un giustificato motivo preventivamente previsto dal contratto.
Per il resto, in tutti i contratti – anche per prestazioni periodiche di lungo periodo o a tempo indeterminato – se uno dei due contraenti vuole modificare il contratto può solo proporlo e, se le parti non si trovano d’accordo, risolvere il contratto. E il Codice del consumo (art. 33, comma 2, lett. m) dichiara addirittura la vessatorietà (e quindi l’inefficacia) delle clausole contrattuali che  consentono di modificare unilateralmente il “contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso“. Fanno eccezione i contratti di telefonia e pay tv, ai quali si applica il Codice delle comunicazioni elettroniche – legge speciale che deroga al Codice del consumo – che consente loro la modifica a proprio piacimento,limitandosi a sancire il diritto dell’utente “di recedere dal contratto senza penali nè costi di disattivazione“.
Chiediamo quindi un intervento legislativo radicale, che modifichi l’art. 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche e che consenta la modifica unilaterale del contratto solo in caso di giustificato motivo indicato nel contratto stesso, come avviene per tutti gli altri contratti fra professionista e consumatore.