Call center. Telefonate mute e tutela della privacy

A chi non è capitato di essere bersaglio di telefonate da parte dei call center dei più disparati operatori, spesso con frequenza quasi intollerabile? Qualche volta, poi, dopo aver risposto al telefono che squilla con insistenza, dall’altro capo non riceviamo alcuna risposta.

dott.ssa Cristiana Olivieri

Le telefonate mute da parte dei call center sono una pratica molto fastidiosa, che è stata oggetto di segnalazioni provenienti dai consumatori che si sono rivolti al Garante della Privacy al fine di bloccarne l’uso (e l’abuso) da parte degli operatori e dei call center. Nel caso in esame, il Garante ha svolto delle indagini presso Enel Energia Spa, riferite soprattutto all’attività di telemarketing che essa svolgeva nei confronti di molte utenze telefoniche, avvalendosi di un sistema informatico fornito dalla società Raitek. Il Garante aveva prescritto ad Enel di adottare misure per evitare la reiterazione di queste telefonate “mute” (che nel settore sono definite “chiamate su contatto abbattuto”) per un lasso di tempo di almeno 30 giorni, dando specifiche istruzioni in tal senso ai responsabili. Nonostante Enel e la società Reitek abbiano presentato ricorso contro questo provvedimento, il Tribunale di Roma ha rigettato le loro istanze.
Sul punto si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza 2196 del 4 febbraio 2016), che ha analizzato vari aspetti. Prima di tutto, essa si concentra sulla legittimità dei contatti con gli utenti ai fini di marketing, quindi al solo fine di effettuare proposte commerciali o indagini conoscitive. Punto cruciale è: quali utenze possono essere contattate? Questo aspetto fondamentale per la tutela della riservatezza è stato oggetto di una direttiva comunitaria, dir. 95/46-CE, il cui art. 7 recita: “il trattamento  di dati personali può essere effettuato soltanto quando  la persona interessata ha manifestato il proprio consenso  in maniera inequivocabile (lett. a)”; inoltre, altre circostanze che legittimano il trattamento dei dati sono: quando è necessario alla conclusione di un contratto con la persona interessata, quando serve ad adempiere ad un obbligo di legge e quando ciò è necessario ai fini dell’esercizio di un interesse pubblico.
Nessuna di queste ipotesi giustifica quindi il trattamento dei dati nel caso esaminato dalla Corte. Se ci riferiamo infatti alla lettera a), la direttiva è chiara nell’affermare la necessità di un consenso espresso, le cui modalità vengono specificate nei vari Stati membri in maniera differente. Nel nostro ordinamento, anche a seguito di un’ulteriore direttiva, più specifica, intervenuta nel settore dell’e-privacy (dir. 2002/58-CE) si prevede che l’uso di sistemi automatizzati di chiamata e di comunicazione senza intervento di un operatore – come nel nostro caso delle chiamate mute e come nel caso delle comunicazioni via fax o posta elettronica a fini di commercializzazione diretta- è consentito soltanto nei confronti degli utenti che abbiano preliminarmente manifestato il loro consenso. Ciò non toglie però che gli utenti possano avvalersi della clausola “opt-out”, ovvero decidere di non voler essere contattati nelle pratiche di telemarketing diretto, cioè quelle eseguite a mezzo di un operatore (in Italia si può esercitare l’opt-out attraverso l’iscrizione al cosiddetto “registro delle opposizioni”, come previsto dall’art. 130 del codice della privacy).
Non rientrano invece, nel concetto di telemarketing diretto le telefonate dei call center “a contatto abbattuto”, in assenza quindi di un operatore che risponda. A dire della Cassazione, in altra recente pronuncia (Sez. 2, n. 14326 del 2014), “è abbastanza evidente che per tali tipologie di chiamate  l’ambito operativo è del tutto simile a quello del fax che, in quanto inviato senza possibilità di interazione  del destinatario col mittente, consente di veicolare  messaggi pubblicitari solo col consenso dell’interessato”.
Nel caso delle chiamate “mute”, infatti, secondo la Cassazione, non si applica la modalità dell’opt-out, perciò la Corte conclude che non è consentito contattare con telefonate “mute”o “a contatto abbattuto” utenti, seppure non iscritti nel registro delle opposizioni, poiché per questa particolare tipologia di telefonate, che non possiamo considerare telemarketing diretto, non si applica il meccanismo di opt-out prevista dall’art. 130 codice della privacy. A chiusura del cerchio, il Giudice di ultima istanza precisa che tale contatto “muto” da parte di un sistema automatico o di un call center non può avere come destinataria neppurel’utenza che (…) non risulti inserita in uno degli elenchi cartacei o elettronici a disposizione del pubblico, di cui all’art. 129, comma 1, del codice della privacy (come per esempio avviene per i telefoni cellulari)”.

(Già pubblicato in Aduc)