Imposta/canone Rai. Lottare per abolirlo, non evaderlo

A due mesi dall’entrata in vigore della legge di stabilità e a due settimane di ritardo nell’emanazione del decreto attuativo e del provvedimento che indicherà come autocertificare di non avere una TV (doveva essere emanato entro il 15 febbraio), web e media si sbizzarriscono sulle soluzioni possibili per evadere l’imposta, da una parte, e su come farla “cadere” a colpi di magistratura dall’altra.
Partiamo da quest’ultimo tema con una considerazione generale. Dal 1938 ad oggi sul canone RAI i massimi organi del sistema giudiziario italiano si sono pronunciati molte volte confermandone la legittimità, difficile che oggi possa accadere il contrario. Da qualche giorno viaggiano in Rete varie proposte, per portare l’affaire canone alla Corte Costituzionale o in Cassazione (entrambe, come dicevamo, si sono pronunciate confermandone la liceità):
– Il canone è illegittimo perché è una tassa espropriativa, in quanto dopo pochi anni l’importo pagato di imposta supera il valore del bene;
– Il canone è illegittimo perché in realtà è una tassa sul servizio televisivo, non sul possesso della tv;
– Il canone e una tassa ingiusta perché chi ha tante TV paga come chi ne ha una sola;
– La riscossione del canone in bolletta è ingiusta perché con le bollette non si pagano le tasse.

Attenzione, di questi quesiti – qui sommariamente enunciati – tutti tranne l’ultimo sono preesistenti al canone RAI in bolletta: era così anche nel 2000, nel 2010, nel 1980. Ma sembra che qualcuno si sia svegliato ora, forse perché prima evadere era più facile, e quindi non si lottava per un principio se l’obbligo si  poteva aggirare.
Pregevoli tentativi sui quali forse si pronunceranno i giudici, con i tempi noti della giustizia italiana (quanti canoni avremo pagato nel frattempo?), a nostro avviso confermando quello che da decenni è il loro orientamento.
E c’è anche la proposta di class action, in effetti ci chiedevamo come mai ancora nessuno avesse ceduto a questa tentazione. Non si possono fare class action tributarie, al più è proponibile un unico ricorso cumulativo da parte di diversi contribuenti, che è altra cosa. Ma chiamarlo class action, mediaticamente, attira di più.
Ciò per dire che il canone RAI a nostro avviso non va combattuto a colpi di azioni giudiziarie che prevedibilmente falliranno, con gran spreco di energie di chi ci si impegna e disillusione di chi ci aveva creduto.
Il canone Rai è una questione politica. È una di quelle uscite di denaro pubblico strettamente strumentali al potere, come il vitalizio ai parlamentari e il finanziamento pubblico ai partiti e i suoi derivati. Tutti argomenti di campagna elettorale delle opposizioni, per i quali le maggioranze di qualsiasi provenienza non hanno orecchie.
Ne è la riprova l’uso dei soldi per i gruppi parlamentari spesi per riempire le città di manifesti sui successi del biennio Renzi; ne é prova (al pari dei suoi predecessori) l’attuale presidente del consiglio, che pochi anni fa ad una manifestazione fiorentina nota ormai come Leopolda, poneva fra i 100 punti da realizzare  per fare un’Italia migliore, la privatizzazione della RAI e l’esclusione dei partiti politici dalla gestione della televisione pubblica.

Il canone continua ad esistere (non ci si abbagli da 13 euro in meno rispetto all’anno scorso) e il potere del governo sulla RAI è più intenso di prima. Le maggioranze parlamentari di tutti i tempi hanno difeso e rafforzato l’assoggettamento al potere della tv, potente strumento attraverso il quale condizionare la vita civica, economica, politica e culturale del Paese, e non smetteranno ora.

Quindi che si fa? Tutti arresi? No, il consenso elettorale tanto caro alle maggioranze può costringere le stesse a tornare indietro? Aduc si impegna da anni, con una petizione ad oggi firmata da più di 200.000 persone.
E i metodi suggeriti da web e media per evadere il canone Rai nulla hanno a che vedere con la disobbedienza civile.
Il metodo più esplicito che abbiamo letto suggerisce l’invio dell’autocertificazione di mancato possesso seguita, il giorno dopo, dall’invio (con la complicità di qualcuno) di un contratto di cessione della tv recante data certa. In questo modo l’autocertificazione sarebbe veritiera per il giorno in cui si è firmata. Un consiglio da azzeccagarbugli: le normative attuative sicuramente prevederanno che in caso di mutamento delle circostanze dichiarate, l’autocertificazione debba essere rinnovata.

L’invito all’evasione “attrae” -perché è la tipica soluzione italiana alla “fatta la legge trovato l’inganno”- ma non ci sembra un bel messaggio.
Prima di tutto perché l’evasione fiscale non è la soluzione, violare la legge non è la soluzione.
Secondo. perché ci si espone a recuperi di crediti erariali con sanzioni economiche, prima che penali.
L’autocertificazione con sanzione penale per il mendacio è un deterrente per onesti, perchè oggettivamente una condanna penale per la mancata autocertificazione è alquanto improbabile per tanti motivi: la prescrizione dei reati, la possibile assoluzione per particolare tenuità del fatto, l’intasamento delle Procure della Repubblica che si occupano di cose ben più importanti.
Tutto ciò deve incoraggiare ad evadere?
No, in uno Stato di diritto quando una legge è insensata non la si ignora o evade, la si cambia.
E -soprattutto- ci si impegna per cambiarla.
I presupposti ci sono: a partire dalla considerazione di un referendum in cui -alcuni anni fa e ovviamente mai rispettato- gli elettori si espressero a favore di un’ipotesi di privatizzazione della Rai. E con un’altra considerazione/domanda: perche’ il servizio pubblico d’informazione radiotelevisiva deve essere in abuso di posizione dominante, in un mercato dove i suoi concorrenti vivono solo di abbonamenti (veri e non travestiti da imposte) e pubblicita’ e non hanno i soldi dei contribuenti?

(Già pubblicato in Aduc)