Clandestinità. Un reato criminogeno che deve essere eliminato dall’ordinamento

Il reato di clandestinita’, a pochi mesi dalla sua introduzione, inizia a “scricchiolare”. La Corte Costituzionale e’ stata infatti gia’ chiamata a verificare se la sua introduzione sia irragionevole e discriminatoria.
La funzione di questo reato e’ deterrente, finalizzata a scoraggiare l’ingresso clandestino, nonche’ ad ottenere l’allontanamento dello straniero irregolare dal territorio italiano. Puo’ un simile fine essere ottenuto introducendo un reato? Quando un comportamento puo’ (e deve) essere punito con una sanzione penale?
Consideriamo in primo luogo che, secondo un principio di diritto penale, e’ meritevole di sanzione quel comportamento che offende un bene giuridico tutelato dalla Costituzione. Esistono, ad esempio, i reati contro la persona (violenza, minaccia, omicidio, lesioni, ecc.) e i reati contro il patrimonio (furto, rapina, truffa, ecc.); in questi casi i beni giuridici tutelati dalla norma sono l’integrita’ psico-fisica della persona e dei propri beni, che poi a loro volta sono oggetto di tutela costituzionale. Quale sarebbe il bene giuridico di rilevanza costituzionale per tutelare il quale e’ stato introdotto il reato di clandestinita’? Se lo chiedono anche i giudici e i pubblici ministeri che hanno richiesto e sollevato la questione di costituzionalita’. Dalla lettura della legge, il bene giuridico tutelato consiste nella tutela della sicurezza pubblica. Ma un irregolare non e’ per definizione socialmente pericoloso. Ci sono irregolari che tali rimangono per anni e che vivono onestamente, lavorano (a nero, a vantaggio dei datori di lavoro) e rispettano le leggi; ci sono stranieri regolari che per qualsiasi motivo perdono il permesso di soggiorno e si ritrovano immediatamente autori di un reato; ci sono turisti o altri “soggiornanti di breve periodo” che, per contingenze della vita, rimangono in Italia anche un solo giorno oltre la scadenza del visto, e sono automaticamente perseguibili. E la norma non comprende alcun “giustificato motivo” che esima dalla commissione del reato. Come chiaramente evidenzia il giudice di pace di Torino che ha sollevato l’eccezione di costituzionalita’, i casi appena citati sono ben diversi dalla situazione di chi, entrato clandestinamente in Italia, vive di attivita’ criminosa; eppure tutte le situazioni citate sono punite allo stesso titolo, e con le stesse sanzioni.
Altro principio cardine del nostro ordinamento e’ che la tutela penale di un bene giuridico, mediante l’introduzione di un reato, sia giustificata solo come extrema ratio, cioe’ quando tutti i rimedi “minori” sono stati ritenuti inidonei allo scopo. Posto che il fine di questa norma e’ ottenere l’allontanamento dello straniero irregolare dal territorio italiano (tanto che se lo straniero se ne va -spontaneamente o coattivamente- prima della conclusione del processo, quest’ultimo si chiude senza condanna), la norma e’ perfettamente inutile perche’ le leggi italiane gia’ prevedono l’espulsione coattiva dello straniero irregolare, che pero’ non viene attuata per mancanza di fondi o di personale.
Ancora, la struttura di un reato deve prevedere la consapevolezza, colposa o dolosa, della propria condotta criminale; condotta che consiste in una azione (o una omissione) che sia riconducibile al soggetto consapevole. Ma il reato di clandestinita’ non punisce una “condotta” quanto invece una “condizione”, di uno status nel quale, peraltro, versano moltissime persone; condizione “costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e’ poi la condizione tipica del migrante economico e, dunque, anche una condizione sociale, cioe’ propria di una categoria di persone. Una situazione […] difficilmente riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante, essendo costui costretto, di regola, a fuggire dal proprio Stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire la sottrazione dei propri documenti (ove esistenti) da parte delle compagini criminali che organizzano i viaggi della speranza e si ‘prendono cura’ di lui nel luogo di destinazione” (richiesta del PM presso il tribunale di Torino del 15 settembre 2009).
Sara’ ora la Corte Costituzionale a misurare sul metro della Carta fondamentale -che tutela dalla discriminazione e dalla disparita’ di trattamento, proclama la dignita’ umana, la ragionevolezza e proporzionalita’ degli interventi legislativi- il reato di clandestinita’. Reato figlio del fallimento dell’amministrazione pubblica nell’organizzazione economica e logistica delle espulsioni coattive; e padre, a sua volta, di un sistema criminale e criminogeno di sfruttamento delle situazioni di clandestinita’.
L’introduzione di questo reato non rafforza la “sicurezza dei cittadini” (rigorosamente italiani), ma le organizzazioni criminali che sulla condizione di irregolarita’ ci lucrano illegalmente, forti del fatto che la propria vittima non potra’ mai rivolgersi alle forze dell’ordine per sporgere una denuncia. Si pensi alla recente regolarizzazione delle colf e alle truffe organizzate in diverse aree di Italia sulle quali le Procure della Repubblica stanno indagando: moltissimi stranieri hanno pagato a fantomatiche agenzie circa 6000,00 euro per la regolarizzazione da parte di un datore di lavoro inesistente, e proprio perche’ questo datore di lavoro non esiste non otterranno il permesso di soggiorno, dunque rimarranno clandestini e se volessero denunciare l’accaduto dovrebbero inevitabilmente “autodenunciarsi” per immigrazione clandestina.