Ora di religione. Se il tributo anziche’ a Cesare fosse versato a Dio

Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verita’ e non hai soggezione di nessuno perche’ non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: E’ lecito o no pagare il tributo a Cesare?”. Ma Gesu’, conoscendo la loro malizia, rispose: “Ipocriti, perche’ mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domando’ loro: “Di chi e’ questa immagine e l’iscrizione?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che e’ di Cesare e a Dio quello che e’ di Dio”. A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono”.
Uno dei piu’ preziosi contributi della Cristianita’ alla civilta’ occidentale e’ il concetto di separazione tra sfera religiosa e civile contenuto nel Vangelo di Matteo (Matteo 22, 15-21), eppure quando questo concetto e’ applicato da un giudice, nel rispetto delle leggi nazionali e contro una ordinanza ministeriale illegittima, crea sgomento nelle fila cattoliche.
E cosi’ una sentenza che ristabilisce un principio di diritto eroso dalle prassi ministeriali, semplicemente equiparando gli studenti cattolici a tutti gli altri diventa un caso nazionale, capace di “danneggiare la laicita’ dello Stato” – “discriminare ed emarginare l’insegnamento della religione cattolica con una decisione pretestuosa”.
Se ci si limitasse a leggere gli articoli apparsi sulla stampa parrebbe davvero esistere una vera e propria congiura della magistratura a danno della religione cattolica, per mortificarla e prostrarla a favore di tutte le altre religioni professate in Italia o di un pericoloso ateismo capace di portare un Paese alla deriva.

La legge vigente


Se invece si guarda ai fatti, il provvedimento del TAR Lazio n. 7076 del 2009 ricostruisce con estrema logica e chiarezza una (“banale”?) illegittimita’ amministrativa. Il decreto legislativo 16 aprile 1994 n.297 (testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione) assegna ai docenti di religione cattolica un ruolo ben definito (art. 309):
— fanno parte della componente docente degli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri docenti, ma partecipano alle valutazioni periodiche finali solo per gli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica (terzo comma);
— stilano “una speciale nota, da consegnare unitariamente alla scheda o alla pagella scolastica, riguardante l’interesse con il quale l’alunno segue l’insegnamento di profitto che ne ritrae”. L’insegnamento della religione cattolica non deve dunque comparire sulla scheda di valutazione bensi’ su una “speciale nota”.

Il “decreto Fioroni”


Il cosiddetto “decreto Fioroni” (Ordinanza Ministeriale n. 26/2007 prot. 2578) prevede invece che “L’attribuzione del punteggio, nell’ambito della banda di oscillazione, tiene conto, […] del giudizio formulato dai docenti di cui al precedente comma 13 (n.d.r. insegnanti di religione) riguardante l’interesse con il quale l’alunno ha seguito l’insegnamento della religione cattolica ovvero l’attività alternativa […]. Nel caso in cui l’alunno abbia scelto di assentarsi dalla scuola per partecipare ad iniziative formative in ambito extrascolastico, potra’ far valere tali attivita’ come crediti formativi se presentino i requisiti previsti dal D.M. n. 49 del 24-2-2000“.

Perche’ il TAR ha accolto il ricorso


Il Tar richiama in primo luogo il concordato del 1984 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, per cui la scelta degli studenti o dei loro genitori di avvalersi, o meno, dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non puo’ “dar luogo ad alcuna forma di discriminazione” ed il protocollo addizionale agli accordi del 1984 che prevedeva che gli insegnanti di religione cattolica non avrebbero potuto disporre, ne’ di voti, ne’ svolgere esami, ma semplicemente stilare, “in luogo” di voti ed esami, una “nota speciale”, nella quale dar conto dell’interesse con il quale ciascuno studente aveva seguito l’insegnamento ed il profitto ottenuto.
Il diverso criterio di valutazione per l’attribuzione del credito scolastico secondo il decreto Fioroni discrimina gli studenti che nell’esercizio dei propri diritti fondamentali abbiano scelto di assentarsi dall’edificio scolastico o comunque di astenersi da ogni insegnamento alternativo durante l’ora di religione cattolica. E cio’ perche’, ai sensi dell’articolo tre, comma sei, legge 425/1997 “a conclusione dell’Esame di Stato viene assegnato a ciascun candidato un voto finale complessivo in centesimi, che e’ il risultato della somma dei punti attribuiti dalla commissione d’esame alle prove scritte dal colloquio e dei punti per il credito scolastico acquisito da ciascun candidato. La commissione d’esame dispone di 45 punti per valutazione delle prove scritte e di 30 punti per la valutazione del colloquio. Ciascun candidato puo’ far valere un credito scolastico massimo di 25 punti”. Ai sensi dell’art. 3 della L. 425/1997 il credito scolastico pesa per oltre il 55,55% dei 45 punti assegnati per le prove scritte ed e’ pari all’83,33 % dei 30 punti assegnati per la valutazione del colloquio.
“In conseguenza” -secondo il TAR-Chi non sceglie l’insegnamento della religione cattolica sarebbe esposto al rischio di presentarsi in condizione di svantaggio sul mercato del lavoro o in occasione della partecipazione a selezione per l’ammissione ai corsi universitari o borse di studio connotati come noto da un’altissima competitivita’. […] Il che in concreto comporta che le famiglie laiche o degli alunni stranieri appartenenti ad altre confessioni siano di fatto costretti o, ad accettare cinicamente e subdolamente l’insegnamento di una religione cui non credono; ovvero a subire un’ulteriore discriminazione di carattere religioso, che si accompagna e si aggiunge spesso a quelle di carattere razziale, economico, linguistico e culturale”.
Ne’ si puo’ obiettare che gli allievi che scelgano di non partecipare all’ora di religione ben possono ottenere crediti tramite diverse discipline posto che nelle scuole italianele c.d. materie alternative — concernendo comunque una minoranza della popolazione scolastica — spesso o non vengono attivate affatto per mancanza di risorse ovvero nella realta’ delle cose si riducono al semplice ‘parcheggio’ degli alunni in qualche aula (quando non nei corridoi). E cio’ anche quando gli alunni delle piu’ eterogenee etnie del mondo e delle altre piu’ disparate confessioni rappresentano quasi il 40% degli studenti (con punte addirittura del 90% in alcune estreme periferie dei grandi agglomerati urbani)”.
Il Tar spiega dunque chiaramente le motivazioni della propria pronuncia che poco hanno a che fare con la “penalizzazione degli insegnanti di religione” (il cui sindacato -Snadir, il sindacato autonomo degli insegnanti di religione- ha annunciato battaglia) per i quali verrebbe meno la pari dignita’ con gli altri docenti, o con l’aggressione al patrimonio di storia, valori e tradizioni che il cattolicesimo rappresenta per molti italiani.
Forse consapevole delle reazioni che la propria sentenza avrebbe suscitato (secondo il Ministro dell’Istruzione, Universita’ e Ricerca, Mariastella Gelmini, gli insegnanti di impronta laica -anzi laicista- rappresentano un “paradosso educativo”), nella sentenza si chiarisce quale sia, secondo il Tribunale, il ruolo dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole: “Qualsiasi religione per sua natura non e’ ne’ un’attivita’ culturale, ne’ artistica, ne’ ludica, ne’ un’attivita’ sportiva ne’ un’attivita’ lavorativa ma attiene all’essere piu’ profondo della spiritualita’ dell’uomo” e, eccezion fatta per le teocrazie, la fede in un Dio non puo’ essere qualificata come un’ordinaria “materia scolastica”.Sulla considerazione che la religione non e’ una “materia scolastica” come le altre deve essere ancorato il convincimento circa l’illegittimita’ della sua riconduzione all’ambito delle attivita’ rilevanti ai fini dei crediti formativi. E cio’, non perche’ la religione cattolica non debba essere considerata un’attivita’ priva di valori storici e culturali ma anzi, al contrario, non puo’ essere considerata una normale disciplina scolastica proprio perche’ e’ un insegnamento di pregnante rilievo morale ed etico che, come tale, abbraccia quindi l’intimo profondo della persona che vi aderisce. Ma proprio per questa ragione, sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso strettamente attinente alla fede individuale non puo’ assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico per il rischio di valutazioni di valore proporzionalmente ancorate alla misura della fede in essa. Sotto tale profilo e’ dunque evidente l’irragionevolezza dell’Ordinanza che nel consentire l’attribuzione di vantaggi curriculari, inevitabilmente collega in concreto tale utilita’ alla misura della (magari solo ostentata, verbale e strumentale) adesione ai valori dell’insegnamento cattolico impartito”.
La questione dovra’ ora essere affrontata dal Consiglio di Stato, cui il Ministro Gelmini ha gia’ annunciato di voler presentare ricorso, che si era gia’ pronunciato nel 2007 sulla vicenda, sospendendo un’ordinanza dello stesso TAR Lazio. Vista la precedente pronuncia, il nostro invito ai nuovi giudici che dovranno decidere la materia e’ di resistere alle pressioni mediatiche riconducibili agli interessi vaticani e a valutare la questione in termini di stretta legalita’, affermando (rafforzando?) il diritto di tutti gli studenti di libera determinazione relativamente all’insegnamento della religione cattolica, il diritto degli studenti non cattolici ad essere valutati al pari di quelli cattolici, i principi di parita’ fra confessioni religiose, di liberta’ religiosa e di libera manifestazione del pensiero.
Ma potrebbe anche accadere che il Consiglio di Stato non arrivi nemmeno a pronunciarsi nel merito. Si sono infatti gia’ conclusi i lavori della commissione paritetica Ministero dell’Istruzione-Cei che prevede che il voto di religione faccia media. Il Consiglio di Stato in questo caso dovra’ dichiarare la cessata materia del contendere e la battaglia subirebbe una pesante battuta d’arresto.