Azione di classe. E’ la volta buona?

Abbiamo diffidato dell’azione di classe sin dalla sua introduzione ritenendo che fosse un’arma spuntata, uno specchietto per allodole – piu’ che altro – per dar l’idea di aver introdotto l’azione di classe senza farlo davvero, senza che potesse avere una reale efficacia, un impatto favorevole e concreto sullo squilibrato rapporto fra consumatore e aziende.
Da allora sono passati cinque anni, e ogni occasione e’ stata buona per invocare a gran voce mirabolanti class action, da ultimo l’annuncio – del presidente della regione Lombardia – di una class action regionale (?) contro i black bloc per gli eventi del 1 maggio scorso a Milano, o ancora di un’altra class action per i danneggiati dallo stop alla rivalutazione delle pensioni stabilito dal governo Monti.
Ma, proclami a parte, cosa e’ accaduto nelle aule di tribunale italiane durante questi cinque anni? Non esistono ad oggi statistiche ministeriali che aiutino a tracciare la storia della class action dalla sua introduzione ad oggi. I dati sui quali ci basiamo sono quindi esclusivamente quelli dei quali siamo riusciti a venire in possesso, senza pretesa di esaustivita’. Stando alle statistiche dell’Osservatorio antitrust dell’Università degli Studi di Trento,  al 17 giugno 2014 erano state incardinate in Italia 40 azioni di classe. Di queste, 16 sono state dichiarate inammissibili, 9 sono state ammesse, 22 sono ancora in corso e solo tre azioni sono state accolte con sentenza di accertamento/risarcimento/restituzione (il sito pero’ non specifica se le tre accolte siano gia’ divenute definitive o se pendano appello/ricorso in Cassazione).

Solo 40 azioni di classe incardinate e solo 3 accolte.

Un flop. L’azione di classe, come attualmente disciplinata, non fa nessuna paura alle aziende, non e’ assolutamente idonea a metterle sotto pressione economica e psicologica, non le stimola a maggior correttezza nei confronti dei consumatori nel timore di una condanna severa (economicamente parlando) se questi consumatori si unissero in una class action contro di loro.

La proposta di legge passata alla Camera (disegno di legge C.1335, ora al Senato  S.1950) e’ sicuramente migliorativa dell’attuale sistema perche’ smantella quell’apparato di “punizioni economiche” per il proponente, che facevano si’ che l’azione venisse scoraggiata (spese legali decisamente superiori rispetto a quelle di una causa individuale, rischio di condanna alle spese e al risarcimento dei danni per lite temeraria in caso di inammissibilita’ della domanda, spese di pubblicita’ dell’azione). Tali punizioni economiche vengono “spostate” sull’azienda, che sara’ tenuta a pagare le spese di eventuali consulenze tecniche, i compensi del “rappresentante comune degli aderenti”, in misura percentuale tenendo conto del numero dei componenti la classe secondo scaglioni predeterminati dalla legge stessa, le spese legali dell’attore maggiorate in ragione delle somme dovute agli aderenti. In caso poi l’azienda condannata non paghi spontaneamente sara’ possibile una esecuzione forzata “collettiva”.
La pubblicita’ dell’azione, che nella legge attuale e’ a carico del proponente, verra’ effettuata dalla cancelleria del Tribunale sul sito del ministero della Giustizia.
L’azione potra’ essere intrapresa – da un’associazione, un comitato o un singolo componente della classe – per la tutela di “diritti individuali omogenei”, cioe’ per accertare la responsabilita’ di condotte lesive tenute da imprese e enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilita’ e per ottenere la condanna al risarcimento del danno. La disciplina si apre quindi a qualsiasi “diritto individuale omogeneo” mentre finora l’azione di classe e’ stata possibile solo per limitate categorie di diritti (consumeristici e interessi collettivi) e solo in determinati ambiti.
Il giudizio si strutturera’, stando al testo attualmente al vaglio del Parlamento, in tre fasi:
– vaglio del Tribunale sulla ammissibilita’ dell’azione;
– decisione nel merito;
– in caso di accoglimento, liquidazione delle somme dovute.
Il potenziale aderente non avra’ bisogno di farsi assistere da un avvocato e potra’ aderire all’azione anche dopo la sentenza di accoglimento (nella terza fase) entro un termine stabilito dal Tribunale.

Sara’ inoltre possibile anche proporre una azione collettiva inibitoria per ottenere l’ordine di cessazione o il divieto di reiterazione della condotta, che potrebbe rivelarsi molto utile in ottica “preventiva”, per evitare che una determinata condotta sia protratta cagionando ulteriori danni. In questo caso il Tribunale potra’ avvalersi, ai fini della prova, anche di “dati statistici e di presunzioni semplici”.

Si tratta di un disegno di legge sicuramente migliorativo della disciplina attuale, che e’ pero’ ancora solo a meta’ dell’iter parlamentare, e contro il quale le imprese hanno gia’ iniziato una strenua opposizione, che ha gia’ portato il ministro Boschi a “prendere le distanze” dal disegno di legge.

Vedremo se il Senato lo confermera’, migliorera’ (dal nostro punto di vista) o lo snaturera’ facendosi condizionare dalla strenua opposizione di Confindustria e dai sostenitori di queste posizioni in Parlamento.

(Già pubblicato in Aduc)