Canone Rai. Interpellanza parlamentare sulla violazione della legge di Stabilita’

Tra pochi giorni partirà la riscossione del canone Rai in bolletta, un meccanismo concepito dalla legge di stabilità che prevede la presunzione del possesso di una tv se nel luogo di residenza di ciascun contribuente è attiva una utenza elettrica.
Si è trattato di un provvedimento emesso in tutta fretta, che non ha consentito per la sua attuazione di effettuare tutte le necessarie verifiche sui contribuenti, cioè chiedere alle anagrafi comunali la composizione dei nuclei anagrafici, per evitare doppie imposizioni di canone/imposta Rai nello stesso nucleo familiare. Probabilmente ci sarebbe voluto troppo tempo, o forse le anagrafi comunali non erano pronte e organizzate per inviare i dati di 23 milioni di famiglie anagrafiche.

Per ovviare, Ministero dello Sviluppo economico e Agenzia delle Entrate hanno trovato una soluzione alternativa, che viola la legge di stabilità e che danneggia i cittadini:  anziché fare i dovuti controlli anagrafici hanno attribuito il canone a tutte le utenze residenziali, onerando i cittadini contribuenti a dichiarare se – al contrario – il canone non fosse da loro dovuto perché pagato già da altro familiare.

Così facendo Agenzia delle Entrate e Ministero dello sviluppo economico hanno violato in un colpo solo la legge di stabilità, lo Statuto del Contribuente e la legge sul procedimento amministrativo.

Per fare chiarezza su tali violazioni, e per chiedere al Governo come intenda porre rimedio a tali violazioni e se sia intenzione del Governo assumere iniziative normative urgenti al fine di posticipare la riscossione in bolletta elettrica del canone Rai e consentire una corretta e compiuta informazione dei contribuenti, è stata presentata ieri – su segnalazione dell’Aduc – una interpellanza parlamentare da parte dei Deputati Alessandro Di Battista, Roberto Fico, Mirella Liuzzi, Vincenzo Caso, Emanuele Scagliusi, Giuseppe L’Abbate e Manlio di Stefano.

Cuore dell’interpellanza è il meccanismo di individuazione dei soggetti tenuti al pagamento che la legge di stabilità individua nella residenza del contribuente e nell’esistenza in quel luogo di utenza elettrica e che AdE e Ministero stravolgono trasformandolo in titolarità di una utenza elettrica residenziale. La conseguenza di questo stravolgimento è che il contribuente pagherà un canone Rai non dovuto oppure – in caso di invio della dichiarazione sostitutiva – si esporrà al recupero di 5 anni di importi pregressi da parte della società elettrica.
Si tratta a nostro avviso di un meccanismo non casuale, pensato per batter cassa – soldi non dovuti nelle casse dell’erario oppure un aiuto economico indiretto alle società elettriche  (che si aggiunge ai 28 milioni di euro che riceveranno per il servizio reso).
L’Agenzia delle entrate ha infatti deciso di partire non — come previsto dalla legge di stabilità – dal dato anagrafico messo a disposizione dei comuni, ma dall’intestazione di una utenza elettrica residenziale. Tale dato tuttavia non necessariamente rispecchia l’effettiva residenza dell’intestatario in quell’immobile, poiché per le più varie ragioni (da un mancato aggiornamento incolpevole ad una consapevole omissione nella comunicazione contrattuale con la società elettrica), è possibile che questi sia titolare di utenza elettrica intestata ma abbia residenza anagrafica altrove, con il proprio nucleo familiare che già paga il canone Rai. L’intestatario si trova quindi davanti ad una scelta: può inviare la dichiarazione sostitutiva per non dover pagare illegittimamente il canone Rai già pagato dal familiare, così esponendosi alla modifica della tariffa elettrica applicata e al ricalcolo degli ultimi 5 anni di consumi con la tariffa non residenziale oppure si vede costretto ad accettare di pagare una imposta non dovuta di 100,00 euro (importo probabilmente di gran lunga inferiore all’ipotesi di ricalcolo delle tariffe elettriche).

Così facendo, l’Agenzia delle entrate pone il cittadino nella condizione di pagare una imposta non dovuta, intromettendosi nella gestione di un rapporto contrattuale di tipo privatistico e favorendo indebitamente o l’erario o le casse dei gestori elettrici, quale indiretta remunerazione ulteriore rispetto a quella già cospicua (almeno 28 milioni di euro in due anni) prevista dal decreto ministeriale.

Si obietterà che è giusto che chi ha usufruito di tariffe più basse cui non aveva diritto è giusto che paghi.
Corretto, indubbiamente. Non è corretto invece che lo Stato approfitti di questo “ricatto” per introitare imposte non dovute. E il fatto che il Direttore dell’Agenzia delle Entrate, audita l’8 giugno scorso innanzi alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria della Camera dei deputati, abbia candidamente affermato che “il problema si avrebbe qualora il cittadino abbia più di un’utenza intestata come prima casa, il che vorrebbe dire che è scorretto, perché ne può avere solo una. Quindi, o varia, o paga il canone. Lo dico scherzando, ma la legge così èè a nostro avviso particolarmente grave.

Qui il testo dell’interpellanza