Immigrazione, poligamia e ricongiungimento familiare: Corte Cassazione nega ricongiungimento anche se a chiederlo e’ il figlio

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione (Ordinanza 28 febbraio 2013, n. 4984) esclude la possibilita’ di ricongiungimento familiare del figlio con la madre se il matrimonio di quest’ultima e’ poligamico, e il marito gia’ convive in Italia con altra moglie.
Il ricongiungimento familiare con piu’ di un coniuge, in caso di matrimonio poligamico, e’ espressamente vietato dal testo unico dell’immigrazione dal 2009, quando l’art. 29 fu riformato (dall’articolo 1, comma 22, lettera s, della legge 15 luglio 2009, n. 94), con l’inserimento del comma 1 ter: “non è consentito il ricongiungimento dei familiari di cui alle lettere a) e d) del comma 1, quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale”, ma la vicenda all’esame della Corte di Cassazione aveva ad oggetto un caso parzialmente diverso poiche’ il ricongiungimento era richiesto non gia’ dal coniuge, ma dal figlio: un cittadino marocchino chiedeva il ricongiungimento con la madre, in quanto priva di mezzi di sostentamento e di altri figli nel paese d’origine. Quest’ultima, tuttavia, risultava gia’ sposata con il padre del richiedente sebbene separata del marito – soggiornante in Italia – da piu’ di venti anni, il quale aveva a sua volta richiesto (e ottenuto) il ricongiungimento familiare in favore di un’altra moglie. A causa della situazione di poligamia, vietata nel nostro ordinamento, che si sarebbe determinata con l’ingresso e il soggiorno nel nostro paese della madre del ricorrente, il Consolato Generale di Casablanca aveva negato il visto.
Il cittadino marocchino proponeva allora una azione giudiziaria per ottenere il ricongiungimento con la madre, ottenendolo in primo e secondo grado di giudizio; secondo la Corte d’Appello di Venezia infatti sebbene l’art. 29 espressamente vieti il ricongiungimento del coniuge poligamico se e’ gia’ presente in Italia altro coniuge, non era questo il caso, poiche’ nel caso di specie la domanda era formulata dal figlio e non dal coniuge già convivente con altro coniuge.
Il Ministero degli Esteri ricorreva in Cassazione evidenziando che: “il divieto introdotto nella norma, peraltro preesistente, in via sistematica nell’ordinamento interno, opera oggettivamente ogni qual volta possa verificarsi una situazione di poligamia, contrastante con il diritto familiare italiano. Risulta, conseguentemente, irrilevante che a formulare la domanda sia stato il figlio e non il coniuge, già soggiornante in Italia con altra moglie”.
La Corte di Cassazione ha dato ragione al Ministero ritenendo che l’art. 29 comma primo ter d.lgs 286 del 1998 “stabilisce un divieto che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, e al contrario mirando ad evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche costituzionale; […] il divieto di poligamia non è condizionato da condizioni di fatto quali la coabitazione o la vivenza a carico, ma opera in sé e perdura fino alla cessazione legale di uno dei vincoli coniugali”.
L’unico precedente giurisprudenziale a noi noto e’ una sentenza del TAR Emilia-Romagna del 1994
(TAR Emilia-Romagna – sede di Bologna, sez. I, 14 dicembre 1994 n. 926 – Galoppini, Ricongiungimento e poligamia, Dir. Famiglia 2000, 02, p. 739 ss.) che dichiaro’ inammissibile la richiesta di ricongiungimento familiare per due donne al marito comune poiche’ la legge personale dello straniero era contraria all’ordine pubblico e al buon costume.
In quella vicenda il Tribunale nego’ il ricongiungimento di un cittadino marocchino a due mogli, che nel frattempo regolarizzavano comunque il loro soggiorno a titolo diverso, usufruendo di una sanatoria.
Sebbene i due provvedimenti siano stati emessi a distanza di quasi vent’anni uno dall’altro, suscitano entrambi una riflessione sul paradosso fra il richiamo alla legge e all’ordine (la contrarieta’ a norme imperative, all’ordine pubblico e al buoncostume) e le soluzioni pratiche “tollerate” dall’ordinamento.
Nel caso del 1994 non fu consentito che le due donne entrassero “in qualita’” di mogli, ma nessun problema creo’ che le due donne si regolarizzassero con sanatoria come lavoratrici, poi probabilmente vivendo come famiglia di fatto – ai sensi della normativa italiana – e famiglia “ufficiale” – secondo la legge nazionale.
Nel caso oggi all’attenzione della Corte di Cassazione avviene invece il contrario, la donna non puo’ fare ingresso in Italia su ricongiungimento richiesto dal figlio, benche’ sia intenzionata a vivere con lui e non con il coniuge con il quale e’ di fatto separata da anni. La stessa donna potrebbe pero’ entrare in Italia tramite decreto flussi per motivi di lavoro.
Come a dire, l’importante e’ che non ci sia la “veste formale” di coniuge “ulteriore rispetto al primo”: e’ sufficiente che il coniuge poligamo non entri a tale titolo, disinteressandosi – giustamente peraltro – lo Stato su dove i singoli risiedano, se tutti sotto lo stesso “tetto” coniugale o meno. Il risultato e’ una singolare, e un po’ schizofrenica, selezione delle conseguenze dell’unione poligamica accettabili per il nostro sistema giuridico.