Rimpatrio degli stranieri extracomunitari clandestini. La Direttiva UE ‘della vergogna’

Il 18 giugno 2008 e’ stata definitivamente approvata dal Parlamento Europeo la direttiva sulle norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi soggiornanti illegalmente, che dovra’ essere recepita negli Stati membri entro 24 mesi dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (la pubblicazione in Gazzetta seguira’ all’ultimo –formale- via libera dai ministri degli Interni e Giustizia degli Stati membri, previsto per luglio).

La direttiva piu’ che disciplinare puntualmente a livello europeo le modalita’ di espulsione degli stranieri extracomunitari irregolari, detta le “garanzie minime” che gli Stati devono assicurare agli stranieri clandestini nelle procedure di espulsione e rimpatrio. E tali garanzie sono davvero minime, tanto minime da aver sollevato le proteste in coro di tantissime associazioni che operano nel settore della tutela dei diritti umani, per le violazioni dei diritti fondamentali che la direttiva consente agli Stati, cui lascia amplissimo margine di manovra, al punto che l’attuale legislazione italiana (da noi spesso criticata) appare alla luce delle indicazioni dell’Unione Europea quasi un’isola felice!

In questo articolo ne evidenziamo le contraddizioni e le violazioni dei diritti umani fondamentali che balzano subito agli occhi,  valutandone e commentandone l’impatto sulla legislazione italiana.

Partenze volontarie prima dell’espulsione
 
Da una parte si prevede che l’espulsione coattiva sia preceduta (a differenza di quanto ora avviene in Italia) dalla possibilita’ per il clandestino di lasciare volontariamente il territorio dello Stato, e di procedere ad espulsione in caso di mancata ottemperanza. Il termine da assegnare allo straniero deve essere congruo, fra i sette e i trenta giorni derogabile ampliandolo – in considerazione di circostanze specifiche del singolo caso, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di figli che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali – o restringendolo.

La norma esonera gli Stati da tale obbligo se “sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare e’ stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale“. In pratica una norma vuota, che gli Stati possono “riempire” a proprio piacimento, soprattutto se si considera che la stessa direttiva definisce pericolo di fuga: “l’esistenza in un caso particolare di motivi basati su criteri obiettivi definiti dalla legge per ritenere che un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio possa tentare la fuga“; quasi sempre dunque. L’attuale disciplina italiana prevede che l’allontanamento dal territorio sia sempre disposto con decreto motivato immediatamente esecutivo: siamo fuori “parametri UE”, ma bastera’ specificare che tale modalita’ di allontanamento sia adottata quando sussiste pericolo di fuga, per “rientrarvi”. Per il diritto italiano dunque cambiera’ ben poco.

Traduzione degli atti
 
E’ uno dei punti a mio avviso piu’ scandalosi della direttiva, che viola il diritto di difesa giudiziale stabilita non solo nella maggior parte delle legislazioni nazionali, ma soprattutto nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per l’Unione Europea non e’ infatti assolutamente indispensabile che lo straniero espulso ben comprenda cosa gli sta accadendo, posto che la traduzione degli atti relativi al procedimento di espulsione (oggi in Italia obbligatoria e per iscritto) non e’ obbligatoria ma “eventuale”, se richiesta dallo straniero stesso. E anche qualora lo straniero la richieda, puo’ essergli fatta “oralmente”, non necessariamente per iscritto; stessa filosofia per le informazioni relative alle modalita’ di impugnazione dell’espulsione: vengono fornite solo su eventuale richiesta dello straniero (che magari nemmeno immagina di poterlo fare), possono essere anche solo orali, e non necessariamente nella lingua dello straniero ma e’ sufficiente tradurle in un lingua che si possa “ragionevolmente” ritener conosciuta dallo stesso.

Divieto di ingresso a seguito dell’espulsione

Attualmente in Italia lo straniero espulso non puo’ rientrarvi regolarmente prima che siano trascorsi dieci anni dall’espulsione, e comunque fornendo la prova di essersi effettivamente allontanato dall’Italia. La direttiva abbassa questa soglia a cinque anni, consentendo pero’ tempi maggiori (si badi bene, non specificati) qualora il “cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale“.

Rimpatrio e allontanamento di minori non accompagnati
 
Attualmente in Italia, ed in ossequio alle norme di diritto internazionale e nazionale a protezione dell’infanzia, i minorenni stranieri non sono espellibili. La direttiva, in spregio alle convenzioni internazionali che tutelano l’infanzia e l’adolescenza – prima fra tutte la Convenzione Onu dei diritti dell’infanzia e dall’adolescenza – consente l’espulsione anche dei minori.
 
Tempi massimi di detenzione nei Centri di Permanenza Temporanea
 
Le disposizioni che meritano maggior attenzione riguardano sicuramente la possibilita’ di disporre il trattenimento presso i centri di permanenza temporanea (in Italia i futuri Centri di identificazione ed espulsione, ma la sostanza e’ la stessa) fino ad un periodo massimo di 18 mesi. Per comprendere lo spirito della direttiva, merita sottolineare che al momento i tempi massimi di detenzione nei centri di permanenza temporanea in Europa variano da 32 giorni in Francia fino a 20 mesi in Latvia, e sette Paesi consentono una durata indeterminata di tale detenzione. Si arriva dunque a consentire agli Stati membri il trattenimento forzato nei CPT per un anno e mezzo, con la ben magra “consolazione” che nel corso di questo lungo periodo sia riesaminato da un giudice “ad intervalli di tempo ragionevoli”.

La direttiva istituzionalizza a livello europeo la detenzione amministrativa senza che la persona abbia commesso alcun reato; prevede che in assenza di posti nei cpt gli stranieri possano essere tradotti nelle carceri nazionali, tenendoli separati dai detenuti “ordinari”; chiama “temporanea” una detenzione illegittima che puo’ arrivare a durare addirittura un anno e mezzo;

I migranti vengono criminalizzati, privati della loro liberta’, rinchiusi in luoghi disumani e degradanti, senza aver commesso alcun reato, senza che sia stata emessa nei loro confronti alcuna condanna, ma solo per aver violato una norma amministrativa sull’ingresso in Europa.

Il risultato dei lavori del Parlamento e del Consiglio e’ a nostro avviso ben piu’ che un fallimento, ben piu’ che una grave battuta d’arresto nella tutela dei diritti umani. E’ una regressione drammatica, che riporta l’Europa al periodo del secondo dopoguerra, prima ancora che venisse adottata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, anno in cui inizio’ la fase di evoluzione piu’ significativa dei diritti umani, che ha poi condotto alla adozione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (1950), della Convenzione interamericana dei diritti dell’uomo (1969), delle rispettive Corti.

L’Europa ha scelto di dimenticare che “Ogni individuo ha diritto alla liberta’ di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” (art. 13 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948); ha scelto di dimenticarsi dell’art. 6 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo che afferma che tutti gli esseri umani, compresi i migranti irregolari, hanno diritto ad un processo equo, alla presunzione di innocenza fino ad una condanna (penale) e ad un ricorso effettivo.

La direttiva (cosi’ come la previsione attualmente in discussione nel Parlamento italiano) consentendo la detenzione fino a 18 mesi senza che la persona abbia commesso alcun reato, viola uno dei diritti umani fondamentali, la liberta’ personale, che la nostra costituzione tutela all’art. 13, nonche’ l’art. 24 che sancisce il diritto di difesa.

Gia’ nel 2001 la Corte Costituzionale fu chiamata ad intervenire a tutela della liberta’ personale degli stranieri ribadendo che “per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici, per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico, connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani“.

Se la normativa europea verra’ recepita in Italia, come ormai sembra ovvio, non restera’ che rivolgersi, nuovamente, alla Corte Costituzionale e alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nel tentativo di cancellare quella che ormai e’ definita “la direttiva della vergogna”.

(Già pubblicato in Aduc)