Rimpatrio: l’irregolarità del soggiorno e i meri sospetti di reato

dott.ssa Cristiana Olivieri

La Corte di Giustizia ha di recente chiarito in modo definitivo l’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, più semplicemente nota come “Direttiva Rimpatri” (sentenza C-554/13 dell’11 giugno 2015). La direttiva suddetta indica la necessità che la decisione di rimpatrio sia seguita da un periodo variabile tra i sette e i trenta giorni, lasciato al cittadino straniero affinché provveda ad allontanarsi volontariamente dal territorio comunitario. L’art. 7 della direttiva, inoltre, consente agli Stati membri di prorogare tale periodo, in base alle esigenze del caso concreto, tra cui durata del soggiorno, l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali.
Ovviamente la normativa comunitaria tiene contro della possibilità che in tale lasso di tempo possa esserci pericolo di fuga, e al fine di evitarne il rischio, permette che il singolo Stato possa imporre obblighi al rimpatriando (consegnare documenti, obbligo di dimorare in un certo luogo, obbligo di presentarsi alle Autorità…). Al contrario, gli Stati possono non concedere affatto il suddetto periodo nel caso in cui ci sia un effettivo pericolo di fuga oppure se l’interessato costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.
Proprio sul concetto di “pericolo per l’ordine pubblico”, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale dal Giudice olandese, su una controversia riguardante un cittadino straniero, entrato nei Paesi Bassi con un permesso di breve periodo, che aveva ricevuto un provvedimento di rimpatrio perché sospettato del reato di maltrattamenti. Tale circostanza, secondo le Autorità olandesi, rendeva il cittadino straniero pericoloso per l’ordine pubblico e giustificava pertanto il rimpatrio, senza concessione di alcun periodo per la partenza volontaria.
Prima di tutto la Corte di Giustizia precisa che, poiché la direttiva non definisce il concetto di “pericolo per l’ordine pubblico”, gli Stati membri sono tenuti ad interpretarlo secondo la comune accezione nel linguaggio corrente, tenendo comunque presente il contesto e le finalità della singola normativa. Nella direttiva in oggetto, la finalità di concedere il periodo per la partenza volontaria è quella di garantire i diritti del rimpatriato, in particolare “l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme e garanzie giuridiche comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità”; pertanto, nel momento in cui lo Stato effettua una deroga rispetto ai principi generali (come, appunto, la mancata concessione del periodo suddetto), le norme comunitarie vanno interpretate in modo restrittivo.
La Corte afferma che è necessario che lo Stato valuti caso per caso, analizzando le singole circostanze e garantendo una procedura trasparente ed equa, in particolare valutando se il comportamento del cittadino sia effettivamente tale da costituire un vero e proprio pericolo. E’ evidente come il mero sospetto di reato, in forza di quanto detto, non può essere di per sé motivo di pericolo per l’ordine pubblico, così come inteso dall’art. 7 della direttiva. Ne’ tale giudizio può di certo basarsi sulla sola condizione di irregolarità del soggiorno sul territorio.
Per usare le parole del Giudice Europeo, il pericolo per l’ordine pubblico “presuppone, (…) oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società”. Pertanto, solo se queste circostanze siano valutate in termini di particolare gravità e siano accompagnate da altri elementi di reale e concreto pericolo potranno giustificare la mancata concessione del periodo per lasciare il territorio volontariamente; in caso contrario, quando inoltre i sospetti non siano rafforzati da alcun documento attendibile o da circostanze fondate, il mero soggiorno irregolare e i meri sospetti non possono fondare una restrizione dei diritti in capo al cittadino straniero.

(Già pubblicato in Aduc)