RSA e determinazione della quota sociale. Nuovo ISEE: cosa cambia


I criteri di determinazione della quota sociale, a carico dell’utente degente in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), sono cambiati. Con DPCM n. 159 del 3 dicembre 2013, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”. La modifica della normativa sull’ISEE era prevista dal 2011 nella legge “Salva-Italia” (?) n. 214 del 22 dicembre 2011, che all’art. 5 demandava ad un successivo DPCM la revisione delle modalita’ di determinazione e dei campi di applicazione dell’ISEE.
Il DPCM 159/2013 introduce molte novità modificando in modo radicale la determinazione dell’ISEE per le prestazioni di degenza in RSA per le persone non autosufficienti, e creando una disciplina sicuramente peggiorativa rispetto alle previsioni precedenti ed economicamente molto gravosa per gli anziani, per le loro famiglie “tecniche” e per i nuclei familiari ad essi collegati.
Il decreto e’ “formalmente in vigore” dal 8 febbraio 2014, ma prima che il nuovo ISEE entri a regime occorrerà che venga approvato – entro il 9 maggio 2014 – il modello tipo della DSU (Dichiarazione sostitutiva unica che il richiedente delle prestazioni dovra’ presentare, sulla base della quale verra’ calcolato l’ISEE) con provvedimento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Concluso questo iter i singoli comuni dovranno adottare gli atti normativi di adeguamento al nuovo decreto. Solo allora il nuovo ISEE entrerà effettivamente in vigore.
Decorsi 30 giorni dall’approvazione del modello DSU, infine, sarà automaticamente abrogato il d.lgs. 109 del 1998 che finora ha disciplinato la materia.
Ecco in sintesi cosa cambia.

Estensione del nucleo familiare per la determinazione della quota sociale

Nel nuovo decreto sparisce il riferimento alla “evidenziazione del reddito del solo assistito” contenuto all’art. 3 comma 2 ter del d.lgs.109/98 per la determinazione della quota sociale per la degenza in RSA, che il Consiglio di Stato aveva confermato essere applicabile – anche dopo la sentenza della corte costituzionale 296/12 – nelle regioni che non avevano diversamente regolamentato la materia.
Il decreto dedica un intero articolo alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria rivolte a persone di maggiore età: per tali prestazioni (art. 6, comma 2) “ […] il nucleo familiare del beneficiario e’ composto dal coniuge, dai figli minori di anni 18, nonchéè dai figli maggiorenni […]”.
All’interno dell’art. 6, si prevedono poi ulteriori e “speciali” norme che si applicano alle “prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo” – vale a dire la permanenza in strutture di lungodegenza (RSA, RSD, case famiglia ecc.).
Nel caso in cui la prestazione richiesta sia la lungodegenza in RSA non sarà possibile – contrariamente a quanto accade per altri tipi di prestazione – detrarre le spese sostenute per collaboratori domestici e di assistenza alla persona nonché l’ammontare della retta versata per “l’ospitalità alberghiera. Attenzione alle parole usate: si parla di “ospitalità alberghiera” e non di quota sociale. Il riferimento è chiaramente alla stessa tipologia di credito/debito, ma la sensazione che si ha leggendo la norma, e i commi che seguono, è che si vuole in questo modo rafforzare l’idea che la cosiddetta ospitalità alberghiera/quota sociale in quanto tale è a carico del soggetto “a prescindere” dalla partecipazione comunale alla spesa (almeno per ora, e fino alla prossima modifica normativa il soggetto tenuto al pagamento salva la compartecipazione dell’utente resta il comune, ma già si intravede un tentativo di invertire il trend, anche a livello semantico-normativo).

Computo dei redditi dei figli nel calcolo della quota sociale

L’articolo 6, comma 3, lettera b), prevede poi – e questa è una delle novità peggiorative di maggior rilievo – che in caso di ingresso in RSA, si deroghi alla composizione del nucleo familiare del richiedente la prestazione e debbano essere inclusi nel computo dei redditi di quest’ultimo anche i redditi dei figli non inclusi nel nucleo familiare. In questo caso, l’ISEE del richiedente è “integrato di una componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi, avuto riguardo alle necessità del nucleo familiare di appartenenza”.
Il reddito dei figli non conviventi e non inseriti nel nucleo familiare del richiedente sarà dunque calcolato ai fini ISEE per il calcolo della retta da pagare. Tale nuova regola prevede solo due eccezioni:
se il figlio o un componente del nucleo familiare di quest’ultimo sia disabile “medio, grave o non autosufficiente”, secondo una tabella allegata al decreto stesso (allegato 3);
– quando risulti accertata in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici.

Quest’ultima norma appare decisamente singolare, e per certi versi oscura. Parrebbe che i figli che non abbiano più rapporti economici o affettivi con il genitore possano chiedere agli assistenti sociali che venga “accertata” tale estraneità, e così ottenere che il proprio reddito non sia incluso fra quelli del genitore per la determinazione della quota sociale, oppure che in caso di diniego da parte degli assistenti sociali di compiere tale accertamento (e certificarlo) o ancora indipendentemente dall’intervento degli assistenti sociali, e magari anche in via preventiva, i figli possano rivolgersi al giudice ordinario affinchè emetta una sentenza nella quale si accerti “la estraneità del figlio in termini di rapporti affettivi ed economici”.

“Altre” voci di reddito incluse nell’ISEE per la determinazione della quota sociale

Il decreto, infine, esplicitamente include fra i redditi da inserire nell’ISEE tutti gli emolumenti non imponibili ai fini Irpef (indennita’ di accompagnamento, pensione di invalidita’, pensioni, indennità e assegni riservati agli invalidi civili, ciechi, sordi ecc) e crea una sorta di “presunzione di fraudolenza” a danno del richiedente. Secondo l’art. 6, comma 3, lett. c), infatti, “le donazioni di cespiti parte del patrimonio immobiliare del beneficiario avvenute successivamente alla prima richiesta delle prestazioni di cui al presente comma continuano ad essere valorizzate nel patrimonio del donante. Allo stesso modo sono valorizzate nel patrimonio del donante, le donazioni effettuate nei 3 anni precedenti la richiesta di cui al periodo precedente, se in favore di persone tenute agli alimenti ai sensi dell’articolo 433 del codice civile”.

Qualsiasi donazione immobiliare compiuta sin dai tre anni precedenti la richiesta di ingresso in favore delle seguenti categorie di parenti:
– coniuge;
– figli;
– genitori;
– generi e nuore;
– suoceri
verra’ dunque considerata, ai fini del calcolo della quota sociale, come non avvenuta, e il relativo valore economico sara’ comunque inserito nella dichiarazione ISEE.

Questa un prima, rapida, lettura del provvedimento, sul quale ci ripromettiamo di tornare a breve per un’analisi piu’ approfondita dei singoli aspetti.
Il primo impatto e’ fortemente negativo, poiche’ il decreto pone fine a tutte le delicate ed importanti delle quali in questi ultimi anni si era dibattuto nelle aule di giustizia e in Parlamento scegliendo la soluzione piu’ economicamente gravosa per le persone degenti in RSA e le loro famiglie.

(Già pubblicato in Aduc)