Chiusura delle indagini preliminari. Come difendersi

La maggior parte degli indagati scopre di esser tale nel momento in cui riceve l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (cosiddetto “avviso 415 bis”), con il quale il Pubblico Ministero chiudeformalmente le indagini e ne dà avviso alla persona indagata affinché possa esercitare il proprio diritto a conoscere i motivi per cui è stato sottoposto a indagine e le prove esistenti contro di lui.

 

La notifica dell’avviso “415 bis” di chiusura delle indagini preliminari

La comunicazione della chiusura delle indagini preliminari avviene tramite consegna di un documento scritto, chiamato appunto avviso di conclusione delle indagini preliminari, effettuata personalmente all’indagato, se è la prima comunicazione ufficiale relativa al procedimento. In questo caso – oltre a consegnare l’avviso – le forze dell’ordine chiedono all’indagato di nominare un proprio difensore di fiducia e di indicare il luogo in cui egli vuole ricevere tutte le successive comunicazioni relative al proprio procedimento (tecnicamente, si chiama elezione di domicilio).

L’indagato può decidere di rifiutarsi sia di nominare un difensore che di indicare il luogo in cui vuole ricevere le successive comunicazioni, ma questi rifiuti non impediranno la prosecuzione del procedimento.

Infatti, poiché nei processi penali è obbligatoria la presenza di un difensore, se l’indagato non nomina un proprio avvocato di fiducia la Procura della Repubblica ne nominerà comunque uno cosiddetto “d’ufficio”. Ancora, se l’indagato si rifiuta di indicare un luogo presso il quale ricevere le comunicazioni relative al processo, tali comunicazioni verranno inviate all’avvocato.

È facile comprendere allora che “disinteressarsi” totalmente di quanto sta accadendo sia una pessima scelta, poiché si corre il rischio di non ricevere alcuna notizia del proprio processo e di trovarsi magari, dopo qualche anno, con una condanna penale a proprio carico. In questo modo si sceglie di “non difendersi”, di non portare all’attenzione del Pubblico Ministero – e poi del giudice – gli elementi di prova a proprio favore, per dimostrare che si è innocenti oppure per chiarire la propria posizione, ridimensionare l’accusa e ottenere una condanna più lieve in caso di colpevolezza.

Se invece l’indagato ha già fornito queste indicazioni – cioè ha già eletto domicilio – anche l’avviso di conclusione delle indagini verrà consegnato all’indirizzo indicato.

 

Cosa succede dopo la conclusione delle indagini preliminari

Nell’avviso che viene consegnato all’indagato, il Pubblico Ministero deve indicare il tipo di reato commesso, con una esposizione sommaria dei fatti che vengono contestati, la data e il luogo in cui ciò è avvenuto e le norme penali che l’indagato avrebbe violato.

La conclusione delle indagini preliminari è un momento sicuramente molto importante per la persona indagata che potrà, entro 20 giorni da quando ha ricevuto l’avviso di cui sopra, prendere visione dell’intero fascicolo del Pubblico Ministero – depositato presso la Procura della Repubblica del luogo in cui è stato commesso il reato – e decidere, insieme al proprio avvocato, se sia opportuno iniziare a difendersi già in questo momento oppure riservare le proprie difese al processo vero e proprio, che si terrà in un momento successivo.

In questo momento, in sintesi, la Procura della Repubblica “scopre” le sue carte, e l’indagato ha modo di conoscerle e può iniziare ad impostare la propria strategia di difesa per il futuro.

Entro 20 giorni dal ricevimento (notifica) dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, l’indagato e il suo avvocato potranno infatti porre in essere una serie di attività il cui scopo è chiarire al Pubblico Ministero i motivi per cui quel procedimento dovrebbe essere chiuso senza ulteriori conseguenze per l’indagato, cioè archiviato. Ad esempio potranno:

– chiedere che l’indagato sia interrogato dal Pubblico Ministero;

– raccogliere prove documentali o testimoniali (svolgendo investigazioni difensive) [3] che discolpano in tutto o in parte l’indagato, e depositarle presso la segreteria del Pubblico Ministero;

– depositare una memoria contente le proprie difese;

– chiedere al Pubblico Ministero che svolga ulteriori indagini, fondamentali a provare l’innocenza dell’indagato, indicandole in modo puntuale.

Il Pubblico Ministero non è obbligato a prendere in considerazione le richieste e le difese dell’indagato ad eccezione di un solo caso: se l’indagato chiede di sottoporsi all’interrogatorio, il Pubblico Ministero sarà tenuto ad interrogarlo, personalmente oppure incaricando la polizia giudiziaria di svolgere l’interrogatorio. Si tratta però di una attività la cui opportunità deve essere valutata con grande attenzione insieme al proprio avvocato. Scegliere di essere interrogati potrebbe infatti potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, poiché le dichiarazioni fatte dall’indagato durante l’interrogatorio potranno infatti essere utilizzate anche contro di lui nel corso dell’intero processo.

Trascorso il termine di venti giorni di cui sopra, se l’indagato si è difeso nei modi che abbiamo indicato, ed è riuscito a convincere il Pubblico Ministero della propria innocenza, allora questi chiedere al Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del processo; in caso contrario, oppure se l’indagato non ha svolto alcuna attività difensiva, il pubblico Ministero chiederà il rinvio a giudizio, cioè che il procedimento prosegua.